venerdì 6 dicembre 2024

Storytelling Chronicles - "La mia ultima speranza" di Anne Louise Rachelle

Buon venerdì Booklovers.
In occasione della rubrica Storytelling Chronicles, ideata dalla mia amica Lara del blog La Nicchia Letteraria, in cui i partecipanti scrivono un racconto su un tema scelto dal gruppo, ho il piacere di ospitare Anne Louise Rachelle.

Il banner è stato realizzato da Federica del blog On Rainy Days

Il tema per questo mese è particolare perché bisogna utilizzare delle parole chiave e crare un racconto seguendo delle caratteristiche ben precise:
1. Citare il colore rosa;
2. Inserire una moto o una macchina di quelle fighe e veloci;
3. Deve esserci un elemento fantasy/sovrannaturale;
4. Inserire un animale domestico;
5. Aggiungere un riferimento alla Corea del Sud;
6. Un personaggio deve essere minorenne;
7. Qualcuno deve avere gli occhi azzurri;
8. Uno dei giorni nell'arco dei quali si dipana la storia, deve prevedere la pioggia;
9. In qualche modo (che sia detto esplicitamente da qualcuno, che sia specificato in una locandina vista per strada, che sia indicato da un libro sul comodino o in qualsivoglia modalità a vostra scelta) deve esserci un riferimento al passato, inteso come periodo storico o come background di uno dei personaggi;
10. Inserire una foresta o un bosco;
11. Deve essere citato il dolce preferito del/della protagonista;
12. Bisogna scrivere un massimo di 5000 parole.

Il racconto che troverete oggi in questo post si intitola La mia ultima speranza ed è stato scritto da Anne Louise Rachelle.




La mia ultima speranza


di Anne Louise Rachelle

 
Mi sentivo come se mi stesse per scoppiare il cuore e no, non era affatto un buon segno. Ma non potevo fermarmi, non potevo permettere al mio corpo traditore di bloccarmi, dovevo portare a termine il mio proposito, a dispetto della fatica, della pioggia, dell’oscurità. Niente di tutto questo avrebbe potuto distogliermi dal sentiero che stavo percorrendo, un po’ di corsa, per quanto le gambe tremassero e i polmoni chiedessero sempre più aria. Con una mano nervosa, mi tolsi dagli occhi un fiume di acqua piovana che mi impediva di vedere dove stessi mettendo i piedi. Non che avessi risolto chissà quanto: davanti a me c’erano le fronde grondanti di alberi secolari, le cui radici spuntavano dal terreno come mostri tentacolari pronti a sbarrarmi la strada.
Di giorno, la porzione di foresta che costeggiava la fine del paese in cui vivevo da ben ventun anni, assomigliava a un ritrovo di fate e folletti. Era un posto talmente bello e magico che ci trascorrevo ore intere, a leggere, a sferruzzare, a riflettere.
Quella notte in particolare, però, tutta la sua placida magia sembrava essere stata risucchiata da un buco nero, forse a causa del buio assoluto rischiarato a tratti da inquietanti fulmini? Oppure, a causa del silenzio puntualmente interrotto da scrosci d’acqua e tuoni rombanti? Non ne avevo idea, ma la mia corsa contro il tempo si stava sempre più trasformando in un incubo dai contorni foschi e angosciosi. E l’ansia non era affatto una mia buona alleata, così come non lo era la fatica e la paura, ma cosa diamine avrei dovuto fare?!
Quando l’ennesimo fulmine rischiarò a tratti quel che mi circondava, mi resi conto di non essere più sul sentiero. Il cappuccio dell’incerata volò via e la pioggia, che già aveva bagnato per intero il mio viso intirizzito, fece lo stesso con i capelli ormai completamente sciolti dal nodo precario in cui li avevo costretti.
Non provai a rimetterlo su, le mani erano impegnate a stringere un piccolo fagottino contro il petto, sotto l’impermeabile rosa pastello. Non potevo lasciarlo andare, anche se questo comprometteva il mio equilibrio e ogni tentativo di difendermi dalla cascata di pioggia che mi cadeva in testa.
Fui costretta a fermarmi, controvoglia, ma avevo perso del tutto l’orientamento e vagare in tondo non avrebbe risolto il mio problema.
Dovevo raggiungere la casa nel bosco, una costruzione molto vecchia e all’apparenza fatiscente, che non ricordava affatto un luogo di fate e folletti, proprio no. Eppure, là dentro, ci viveva l’unica persona in grado di aiutarmi, perciò, era davvero necessario che ci arrivassi il prima possibile. Magari tutta intera!


Dove ero finita? Cercai di prendere qualche respiro profondo per calmare il cuore impazzito e il respiro affannoso, ma non feci in tempo perché un fulmine spaccò in due il cielo, l’oscurità e le fronde per abbattersi su un albero alla mia destra, incendiandolo.
Urlai per lo spavento, rischiando di perdere la presa sul fagotto, ma il suono fu inghiottito dal rombo del tuono che arrivò un attimo dopo. L’intera foresta fu scossa con brutale violenza, e a quel punto una fitta al torace mi costrinse a piegarmi in due.
No, no, no, ti prego. Mormorai tra i pensieri, mentre le lacrime si mescolavano alla pioggia sul mio viso cereo. Sperai di non aver stretto il fagottino troppo forte, che non fosse troppo tardi. Avrei voluto rialzarmi e combattere quella maledetta tempesta, ma mi mancarono le forze in un colpo, e caddi sul terreno ricoperto di foglie fradice. Un giaciglio comodo su cui lasciarsi andare e morire… Che pensiero macabro e inopportuno! Se solo fossi riuscita a prendere… mi tastai con una sola mano le tasche della giacca, ma ero talmente debole che mi si annebbiò la vista.
Riposo solo un po’, chiudo gli occhi qualche minuto, poi mi rialzerò e mi rimetterò in marcia. Avrei dimenticato le fiamme, i fulmini, la pioggia. Ti salverò, è una promessa.
Feci appena in tempo a formulare quei pensieri che un’ombra enorme mi oscurò la visuale già offuscata. Forse la Morte aveva già deciso di venire a prendermi, che cosa avrei potuto fare per impedirglielo? Mi sentivo così inutile e impotente, allora piansi, senza distinguere il sapore delle mie lacrime da quelle del cielo, fino a quando anche quella percezione si spense e divenni parte delle tenebre.

Ammetto che riaprire gli occhi fu una sorpresa decisamente gradita. Che cosa era successo? I ricordi erano confusi: pioggia, fuoco, dolore, tristezza… Oh no, Hazel!
Mi tastai d’istinto il petto alla ricerca del fagotto, motivo per cui avevo deciso di intraprendere quella folle corsa nella foresta, e mi ritrovai con addosso solo l’intimo, mentre una pesante coperta di lana mi avvolgeva per intero. Cos…?! Vagai con lo sguardo in una stanza sconosciuta, completamente al buio se non fosse stato per un caminetto acceso e scoppiettante. Di fronte, c’era una sedia con sopra appesi tutti i miei vestiti ad asciugare. Anche la brandina su cui ero sdraiata era proprio vicino alle braci bollenti e non potei fare a meno di trovare rigenerante quella presenza. Su un piccolo sgabello al mio fianco, c’era una tazza che profumava ancora di erbe e spezie, benché fosse vuota. Avevo bevuto io il suo contenuto? Quando? Non riuscivo proprio a ricordare.
E se questa fosse… la casa nel bosco? Non ne ero del tutto certa. Dai racconti che avevo sentito in paese doveva trattarsi di una costruzione decadente, infestata da chissà quali tipi di insetti e spiriti. Così come il suo proprietario, portava una nomea non proprio rassicurante: un miscuglio tra un essere umano e un orco, o un diavolo… come lo avevo sentito chiamare più volte, per via della sua propensione a certe pratiche definite oscure. Ma poteva un “diavolo” avermi salvata? E perché ero certa che avrebbe potuto aiutare la mia Hazel? Un motivo ci doveva pur essere. Mi alzai con cautela, in attesa di qualche fitta traditrice, che però non arrivò. In punta di piedi, afferrai i miei abiti e li indossai godendomi la sensazione di tepore che mi trasmisero. Erano perfettamente asciutti e questo significava che dovevo essere qui da un bel po’ di tempo! Non trovai le scarpe, perciò mi limitai a mettere i calzini. Poi, sistemai il letto, rabboccando le lenzuola e la coperta pesante. Mi resi conto che era un gesto strano, soprattutto in una situazione del genere, ma era più forte di me: nell’ordine riuscivo sempre a trovare il mio centro.
Presi un respiro profondo e decisi di avventurarmi oltre la soglia della stanza. Qualunque cosa ci avrei trovato, mi avrebbe dato le risposte che cercavo.


La casa era silenziosa, la pioggia aveva smesso di cadere e il vento di soffiare. Era abbastanza inquietante, visto che il corridoio in cui mi trovavo era del tutto immerso nel buio, a tratti rischiarato da lampi lontani.
Forse avrei dovuto chiedere se ci fosse qualcuno, annunciarmi in qualche modo? E se mi avessero salvato per poi uccidermi in un modo più pittoresco? Trama degna di un film thriller di serie B, soprattutto se ripensavo alla tazza vuota accanto al mio letto, o al camino scoppiettante. Arrivai a una porta che sembrava separasse la zona notte da quella giorno, o almeno immaginai fosse così, visto che potevo scorgere una illuminazione da sotto la fessura. Non era luce elettrica però… Aprii l’uscio con mani un po’ tremanti e no, non ero pronta a vedere ciò che mi si parò davanti.
Il mio sguardo fu subito attratto da un tavolaccio di legno grezzo, su cui la piccola Hazel – la mia coniglietta nana color nocciola – stava rosicchiando qualcosa, mentre un gatto dalla linea sinuosa e dal pelo nero la fissava, sdraiato sulle zampe come una sfinge in miniatura. L’avrebbe mangiata in un sol boccone? Oppure ci avrebbe prima giocato?
«Se avesse voluto farla fuori, l’avrebbe già fatto.»
Sobbalzai nell’udire quella voce, ruvida e bassa, come se fosse venuta fuori da un antro. Saettai lo sguardo nella sua direzione e mi ritrovai a fissare la schiena di un uomo alto, vestito con un paio di calzoni di cuoio e un maglione scuro logoro. I capelli erano rasati ai lati e più lunghi sulla sommità, le maniche erano alzate sugli avambracci e le mani affaccendate sul bancone di quella che pareva una cucina a legna. Un profumo intenso di erbe essiccate permeava l’aria, mentre una litania appena sussurrata proveniva dall’uomo e si spandeva lenta nella stanza: un ambiente che pareva uscito fuori da un revival di epoca medievale con il suo arredamento essenziale e le lanterne a olio a rischiararlo.
«Ai gatti piace giocare con le prede…» Avrei voluto mordermi la lingua, perché non era saggio provocare qualcuno con una simile reputazione. E infatti un sogghigno, più simile a un grugnito, mi raggiunse in risposta alla mia sfacciataggine.
«Perché sono animali intelligenti.» «E anche un po’ crudeli e meschini…» No, non avevo una grande simpatia per quei felini tutti superbia e orgoglio. Però, dovevo avere davvero poco a cuore la mia incolumità se mi ostinavo a ribattere a quelle provocazioni.
Fissai l’uomo che pareva essersi di nuovo dimenticato della sottoscritta. Continuava a rimestare qualcosa in un paio di pentolini, a ravvivare il fuoco sotto i fornelli, ad assaggiare questo o quell’altro ingrediente e poi mormorare qualche parola sommessa. Era quanto di più surreale avessi mai visto…
«Hai intenzione di restare impalata lì tutta la sera?» Una scossa mi stilettò la spina dorsale e mi costrinse a muovermi. Aveva parlato ancora senza voltarsi, e la cosa iniziava seriamente a inquietarmi. Volevo vedere il suo viso, capire se fosse il mostro di cui tutti in paese parlavano e se davvero avrei dovuto ringraziarlo… «Siediti, ti porto qualcosa da mangiare. Poi, però, prenderai il tuo topo e te ne andrai, dimenticandoti di questo posto.» La sua voce aveva un che di ipnotico, fatta di note basse, graffiate, come se non fosse abituato a usarla spesso. Perciò, ci misi un attimo di troppo a realizzare il significato delle sue parole: Hazel stava bene, mangiava con appetito, si puliva le piccole orecchie affusolate con energia. Non era rimasto nulla del corpicino morente che avevo stretto tra le braccia sotto la pioggia scrosciante.


«L’hai salvata. Tu l’hai salvata davvero» lo dissi quasi sussurrando, incredula. Ma lo realizzai con assoluta certezza quando accarezzai Hazel e lei mi rispose strofinando il nasino rosa sulle mie dita. Con gratitudine, dolcezza, riconoscenza. Il mio cuore perse un battito e d’istinto mi portai la mano al petto. Anche le forti emozioni erano mie nemiche…
«Mettiti seduta e mangia qualcosa, o sverrai di nuovo e sarà stato tutto inutile.» Era normale che parlasse senza alcuna inflessione? Non sembrava arrabbiato, ma nemmeno cortese, né tantomeno interessato.
Fu quando mi misi seduta su una sedia traballante, vicino al tavolaccio, che alzai lo sguardo e me lo ritrovai di fronte. Da quella posizione, i miei occhi fissavano il suo ventre: era altissimo. Le braccia, lasciate scoperte dalle maniche alzate, erano zeppe di tatuaggi con strani simboli, persino le dita recavano ognuna dei disegni particolari. Lo notai quando mi posò davanti una scodellina di ceramica con un cucchiaio.
Avrei dovuto alzare lo sguardo sul suo viso, ma qualcosa me lo impediva. Forse non ero davvero pronta a dare un volto alle orribili dicerie che avevo udito in paese, forse avrei voluto semplicemente immaginare una specie di angelo-diavolo capace di salvare una piccola vita senza tornaconti personali, anche se aveva modi un po’ discutibili. Tuttavia, non ebbi tempo di rifletterci oltre, perché fu lui a prendermi il mento e a obbligarmi a guardarlo, come se avesse percepito il mio dissidio e avesse voluto distruggerlo.
I nostri occhi si incontrarono. I miei, azzurri come un lago di montagna, i suoi, neri come l’abisso. Non riuscii a trattenere un brivido nel notare una lunga cicatrice solcare il suo zigomo destro e finire poco sopra la tempia. Eppure, il suo era un volto che non poteva essere definito brutto… o bello. Era magnetico, questo sì, con la mascella squadrata, la barba scura a incorniciarla e un naso importante incastonato tra quelle iridi che parevano pozzi di petrolio. No, non era bello, ma nemmeno orribile come lo avevano descritto per via della cicatrice. No, non era un angelo, ma nemmeno un diavolo.
«Perché l’hai fatto?» Dovevo sapere perché ci aveva salvate, altrimenti non sarei riuscita a tornare a casa.
«Sei coraggiosa, ragazzina.» Mi lasciò andare di colpo, come se avessi superato chissà quale esame segreto, ma fu l’assenza del suo tocco a farmi sentire come se stessi affogando in preda a uno strano maroso interiore. Mi aveva fatto qualche incantesimo? O forse era il mio cuore che non pompava a dovere e l’ossigeno non stava arrivando bene al cervello? «Dovresti essere tu a dirmi perché hai deciso di spingerti nella foresta con questo tempo da lupi… Mangia.» Ordinò, ancora, con quella sua voce brusca e ipnotica insieme. Ma io non ne avevo alcuna intenzione, anche perché lo stomaco era serrato.
«La veterinaria mi aveva appena detto che la mia coniglietta era spacciata, avrei dovuto solo attendere il suo ultimo respiro. Io… non ero pronta a lasciarla andare. Così, ho deciso di venire a cercarti. Tutti in paese dicono che sei… una specie di stregone. Ho pensato che avresti potuto aiutarla…»
Lo vidi sedersi con calma sull’unica altra sedia presente, mentre il gatto passava dal tavolo alle sue ginocchia, in cerca di qualche coccola che non avrei mai creduto sarebbe davvero arrivata da una persona così ruvida e sgarbata.
«Sei davvero strana, ragazzina…»
«Non sono una ragazzina, smettila di ripeterlo.» Oh sì, eccome se era ruvido e sgarbato, ma il gatto iniziò a fare le fusa soddisfatto dalle carezze che stava ricevendo, quasi volesse sbattermi in faccia il fatto che lui fosse gradito, al contrario di me.
«Sei malata, il tuo cuore manca battiti, avresti potuto perdere la vita venendo qui, a cercare un “diavolo incarnato”, per salvare quella del tuo topo domestico. Solo una ragazzina imprudente e ingenua l’avrebbe fatto.» Aveva dimostrato di conoscere bene le dicerie che i paesani avevano fatto circolare sul suo conto, ma soprattutto aveva capito qual era il mio punto debole. Strinsi le labbra in una linea dura, afferrandomi con i denti quello inferiore in un gesto nervoso. Detestavo che mi stesse giudicando.
«Allora perché l’hai fatto? Perché l’hai salvata… e… hai salvato anche me?!» Lo stavo dicendo davvero, stavo ammettendo che – chissà in che modo – era riuscito a rimettere in salute la mia piccola e a evitare alla sottoscritta il cimitero. Avevo dimenticato le medicine a casa, sarei dovuta morire sotto quella dannata pioggia, e invece ero qui a discutere con uno stregone – o qualsiasi cosa fosse – delle mie azioni sconsiderate.
«Che te ne importa? In fondo, hai avuto quello per cui sei venuta, no?» Mi sfidava adesso, con gli occhi neri piantati nei miei, uno strano ghigno sul viso, senza smettere di accarezzare il gatto con gesti ipnotici.


«Me ne importa, perché non eri obbligato a farlo. Secondo le voci che girano, avresti potuto lasciarmi in mezzo al bosco, oppure usarmi per un bel sacrificio umano con tanto di coltellacci arrugginiti e candele nere. E invece no, mi hai presa con te, mi hai accudita e scaldata, hai ridato la salute a Hazel, mi hai persino preparato da mangiare…»
«I coltelli arrugginiti non servono a niente.» Si stava prendendo gioco di me? «E comunque, non eri nemmeno sicura che ti avrei aiutato… è assurdo! Allora, perché ti sei avventurata sotto una dannata tempesta?!» Era la prima volta che notavo un tono particolare nella sua voce solitamente inespressiva. Era… esasperato? Incuriosito? Non avrei saputo dirlo con certezza. Diamine, e se fosse stato tutto uno strano sogno? Scossi il capo incredula e d’istinto presi qualche boccone di zuppa che mi aveva offerto. Era dolce e speziata, davvero deliziosa, tanto che la finii senza neppure accorgermene, scoprendomi affamata all’improvviso.
«È solo che… beh, diciamo che sono stata un po’ azzardata… ma confidavo… ecco… speravo che…» I pensieri si annebbiarono di colpo, come se fossero diventati pesanti al pari di macigni. La lingua mi si attaccò al palato, mentre cercavo di mettere a fuoco l’uomo… di cui non sapevo neppure il nome. Non mi sembrava carino chiamarlo “diavolo incarnato”, proprio no. «Scus-ami… non mi se-nto ben…» Non riuscii a finire la frase, mi accasciai sulla sedia, senza forze. Gli occhi gialli del gatto che mi scrutavano irriverenti, il tepore del corpicino di Hazel che avevo in grembo, lo sguardo corrucciato dello stregone che avrebbe anche potuto uccidermi adesso… oppure no, forse mi avrebbe di nuovo curata e messa vicina al fuoco, fino a quando sarei guarita anche io dalle mie miserie.

Aprii gli occhi, sollecitata da un timido raggio di sole. La tempesta era cessata, io ero ancora viva e… nel mio letto. Mi feci più attenta: osservai sotto il piumone caldo e incontrai il mio pigiama a pois rosa e azzurri; sbirciai oltre il profilo della coperta e vidi sul comodino il mio smartphone con accanto il tubetto di medicine; le imposte erano aperte, come mi piaceva lasciarle per far entrare la luce del primo mattino. Fin qui, tutto nella norma, o quasi. Strizzai gli occhi, sospettosa, perché i capelli che di solito legavo in una spessa treccia, ricadevano sul cuscino come una cascata biondo ramata. Forse avevo perso l’elastico e si erano slegati nel sonno?
Due iridi nero pece invasero il mio campo visivo e mi mozzarono il respiro. Avevo davvero sognato tutto? Ma se era così, allora…
Mi alzai di scatto, mandando all’aria il piumone, fregandomene del gelo che regnava in casa e che mi arrivava dritto sottopelle attraverso i piedi nudi. In pochi attimi, raggiunsi il soggiorno deserto, lì avrei dovuto trovare la mia piccola Hazel, morente. E se se ne fosse già andata mentre dormivo? Come avevo potuto addormentarmi in una situazione del genere? Perché se la corsa sotto la tempesta, la casa nel bosco e lo stregone avrebbero potuto essere frutto della mia fantasia, la notizia che la veterinaria mi aveva dato non poteva esserlo. Il dolore era fin troppo vivido per essere stato solo un sogno.
Ma della mia coniglietta non c’era traccia, né sul suo cuscinetto, né nelle pieghe del divano, né nella gabbietta dove avevo pensato di tenerla per la sua sicurezza. Andai nella cameretta della mia sorellina, a volte si infilava tra le sue lenzuola e vi si nascondeva, soprattutto quando era spaventata. Come aveva fatto ad arrivarci nelle sue condizioni?
Giunsi in camera di Katy, un po’ in disordine a causa della sua cronica incapacità di mettere a posto le cose che usava. Sorrisi appena, silenziando il panico per qualche attimo, per guardare una foto in cui eravamo insieme, abbracciate a un pupazzo di neve che avevamo fatto fuori in giardino, un paio d’anni prima. Aveva solo dodici anni, ma era intelligentissima, era ossessionata dai korean drama – tanto da tappezzare le pareti della cameretta con poster e fotografie dei suoi attori preferiti – e amava sciare. Proprio in quei giorni, papà l’aveva portata a una competizione juniores e sarebbero stati fuori tutta la settimana. Avrei voluto accompagnarli, ma i viaggi in alta quota non erano l’ideale per il mio cuore.
Certo, nemmeno correre sotto una pioggia torrenziale lo era…
Qualcosa si mosse sul letto di Katy e quasi non urlai dalla gioia quando vidi spuntare il musino di Hazel tra i cuscini. La coniglietta sembrava in salute, anche se un po’ impaurita. Mi avvicinai piano e la presi tra le braccia per accarezzarla con dolcezza. Stava bene, davvero bene. Quindi… non mi ero immaginata tutto!
Le lacrime mi inondarono le ciglia, e poi si catapultarono giù lungo le guance, trasformandosi in un fiume di sollievo. Anche se era difficile capire cosa fosse successo davvero, nei dettagli.
Fu così che presi la mia decisione: sarei tornata alla casa nel bosco, col giorno forse sarei riuscita a dare un senso a quanto era accaduto. Ma non lo avrei fatto a mani vuote, no. Avrei preparato prima una bella torta di noci e uvetta, era il mio dolce preferito, ma visto che non avevo idea di cosa piacesse allo stregone, se non lo avesse gradito almeno avrei avuto un premio di consolazione per il mio coraggio.
«Sono proprio una sciocca, vero Hazel?»
Mi venne da ridere, perché avrei dovuto essere più terrorizzata in sua presenza che non all’idea di incontrarlo di nuovo, e magari scoprire che avevo sbagliato tutto quanto.

Mancava solo una curva, e sarei uscita dalla stradina centrale del paese e mi sarei inoltrata nel bosco. Stringevo tra le mani la torta alle noci e uvetta confezionata con una carta rosa confetto. Beh, sì, amavo quel colore, che potevo farci?
Ero talmente immersa nei pensieri che non mi accorsi subito del rombo in lontananza, quando ne presi atto ero già al limitare della curva e vidi all’improvviso una moto da corsa venirmi incontro. Non sarei riuscita a spostarmi così come il motociclista non avrebbe potuto frenare in tempo: era fisicamente impossibile.
Perciò, era così che sarei morta. Avevo sfidato una tempesta, il mio debole cuore, un “diavolo incarnato” che avrei tanto voluto rivedere… e invece sarei stata travolta da una motocicletta rossa come il fuoco. Che bello scherzo mi aveva fatto il destino.
Alla fine, chiusi semplicemente gli occhi e rividi le iridi scure dello stregone, mormorai un silenzioso grazie e poi… un’ombra enorme mi scaraventò al lato della strada.
Lo sbalzo fu talmente repentino che mi parve di volare, ma l’impatto violento con il duro asfalto non ci fu. Mi sembrò di levitare appena prima di toccare terra. Passarono attimi interminabili, il rombo della moto era scomparso, percepivo solo il mio cuore correre troppo veloce, perdendo qualche battito qui e lì.
«Secondo me, hai una propensione genetica al suicidio, tu.»
Aprii gli occhi di scatto, riconoscendo la voce ancora prima di vedere a chi appartenesse. Lo stregone mi fissava con la sua solita espressione neutra. Eravamo entrambi sdraiati su un fianco, troppo vicini per essere ancora una volta il frutto della mia fervida immaginazione.


«E tu hai una propensione genetica per salvarmi.» Di nuovo, tenere a freno la lingua non era stata un’opzione da prendere in considerazione.
Avrei giurato di vedere una nota di divertimento nel suo sguardo, talmente fugace che credetti di essermela sognata.
«Ti avevo preparato una torta» continuai, senza preoccuparmi della posizione in cui eravamo ancora, né del fatto che neppure lui aveva deciso di muoversi.
«Credo sia finita spiaccicata da qualche parte. Ho pensato di darti la priorità, sai com’è.» Era sarcasmo quella nota strana che avevo percepito tra le sillabe?
«In effetti, è sensato, anche se, credimi, la mia torta noci e uvetta resuscita anche i morti.» Mi beccai un’occhiata scettica, poi decise di rimettersi in piedi e portarmi con sé, ma non mi allontanai poi molto. C’era ancora una domanda che desideravo fargli prima che decidesse di mollarmi qui, su due piedi, a causa delle mie battute un po’ strane. «Seriamente, tu cosa ci fai qui?» In fondo, non mi importava come avesse fatto a levarmi dalla strada, avevo assistito a cose ben più strane in sua presenza. Tuttavia, morivo dalla curiosità di capire come fosse riuscito a trovarsi nel posto giusto al momento giusto.
«Casualità?» Eccolo che tornava a sfuggirmi, era ovvio che non mi avrebbe chiarito il mistero. Misi un po’ il broncio, mentre osservavo il suo viso con più attenzione. La cicatrice spiccava come una ferita ancora aperta sotto la luce del sole, anche se aveva appena indossato un cappuccio per proteggersi, come se fosse per lui deleteria. Gli occhi che avevo creduto neri, in realtà erano grigi e cangianti, più profondi di quanto mi aspettassi. «Il tuo topo domestico è ancora vivo?» chiese poi, con apparente non curanza, mentre si guardava intorno circospetto. Forse temeva che qualcuno potesse vederci? Questo gli avrebbe creato problemi?
«Hazel sta bene, anche se stamattina l’ho trovata un po’ impaurita, chissà perché…» Lasciai in sospeso la frase, giusto per fargli capire che avevo intuito come fossimo tornate a casa la sera precedente… più o meno. Preferivo non pensare ad alcuni dettagli, come quello in cui lui mi metteva il pigiama. Mi faceva venire i brividi, e non di vergogna come sarebbe stato giusto. Dio, sarei andata all’inferno! «E il tuo gatto?» preferii chiedere, nella speranza che non intuisse il corso dei miei pensieri. Percepii di nuovo il suo sguardo affilato addosso, curioso e indagatore.
«Seth è un po’ risentito, perché ho deciso di venire a salvarti. Non gli stai tanto simpatica, sai?» Quindi era partito da casa sapendo già dove andare. Tra le righe mi stava rivelando più di quanto non dicesse esplicitamente. E non era un caso, ne ero certa.
«Oh beh, se è per questo, l’antipatia è reciproca… ma non dirglielo, d’accordo?» Giunsi le mani davanti a me, in segno di preghiera, e così mi ritrovai a sfiorare il suo petto. Mentre parlavamo ci eravamo ulteriormente avvicinati, come se il mio corpo subisse una qualche attrazione magnetica.
«Manterrò il segreto, ma non garantisco sulla tua incolumità. Come il suo padrone, è un tipo sospettoso e tu sei fin troppo disinvolta. Dovresti stare più attenta, potrebbe anche convincermi a usarti davvero per qualche sacrificio umano…» Anche se in un modo decisamente bizzarro, mi stava mettendo in guardia, ma io non mi sentivo affatto in pericolo, ancor meno dopo quanto era accaduto poco prima.
«Se continui a salvarmi la vita sarà difficile crederti…» risposi di getto, con un sorriso tanto genuino che sembrò destabilizzarlo. «E comunque, potrei usare le proprietà magiche della mia torta noci e uvetta per ammaliarti, stregone. Arriverai ad amarmi, stanne certo, e ti dimenticherai persino del sacrificio.» Gli feci l’occhiolino, puntando piano un dito sul suo torace. Lui mi fissò di sottecchi, era davvero l’incarnazione della diffidenza.
«Shay, il mio nome è Shay» rispose burbero, con una sorta di sbuffo… rassegnato? «E ho capito che ti piace giocare col fuoco, ragazzina.» Mormorai tra le labbra il suo nome, come se potesse rivelarmi ancora di più su quello strano individuo pieno di contraddizioni.
«E io mi chiamo Aileen, non ragazzina.» Mi ricambiò con un’altra occhiataccia. Si metteva d’impegno per cercare di intimidirmi, ma come potevo dirgli che era destinato a fallire?
Senza più parlare, come se avessimo stretto chissà quale accordo silenzioso per proteggerci dall’invadenza dei paesani, ci avviammo verso il bosco. Avevo tanti interrogativi che si ostinavano a frullarmi in testa: Shay era un vero stregone? Perché viveva da solo nella foresta? Era stata una sua scelta o era stato costretto? E perché tutti parlavano così male di lui e lo temevano al contempo? Sapevo che non sarebbe stato facile avere delle risposte, ma non per questo mi sarei arresa.
Persa in quei pensieri, incespicai in una radice affiorante e lui fu lesto a circondarmi la vita con un braccio, impedendomi di cadere faccia a terra.
Lo guardai con gratitudine in quegli occhi di nuovo scuri sotto l’ombra degli alberi e una epifania mi colpì improvvisa, donandomi una serenità che non avevo mai provato da quando ero nata: se anche il mio cuore capriccioso avesse rischiato di perdere tutti i suoi battiti, ci sarebbe stato Shay a rimetterlo in sesto.


5 commenti:

  1. E vabbè ora come al solito io voglio saperne di più 😆
    Come sempre mi hai messo addosso una certa curiosità e voglia di leggerli ancora.
    Hai combinato benissimo gli elementi da usare unendo nel contempo modernità a magia infatti quando è cominciata la storia pensavo fosse ambientato nel passato e invece quando lei si risveglia a casa sua non è così.
    Brava brava

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  2. Che dire? Con i racconti di Anne Luoise, il senso di insoddisfazione è onnipresente. Per fortuna che ogni tanto decide di scriverci su qualche altro capitolo (un suggerimento poco velato, vero?)
    Adesso, passiamo al commento serio, promesso! Mi sono resa conto solo alla fine che non abbiamo scoperto i nomi dei protagonisti praticamente per tutto il racconto. La cosa bella è che non ha pesato per niente. Sentivo di conoscere entrambi così profondamente, da non notare "l'assenza" dei nomi. Anne, hai la capacità di immergere il lettore in un'altra dimensione e io mi sono trovata nel bosco insieme ad Aileen, nella casa davanti alla cucina con Shay, nei sogni a occhi aperti di lei e nelle occhiatacce di lui. Mi sono piaciuti davvero molto. Un mood un po' dark e mistery che, devo dire, ti viene piuttosto bene. Shay intriga un sacco, vuoi sapere di più sul suo passato e sulle sue ombre. Aileen è una ragazzetta piuttosto sprovveduta, ma agguerrita. Quindi, sono soddisfatta delle emozioni che mi ha suscitato, ma non avevo il minimo dubbio. Bravissima!

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  3. Prima di qualunque altra cosa devo dirti che questo racconto mi ha conquistata! Come le altre sei riuscita a usare tutti i vari punti del tema in modo sorprendente e unico, creando una storia che non solo intriga, per tutto quello che è il discorso del mistero e della cura che la protagonista va cercando, ma anche uno che non fa assolutamente pesare il non sapere i nomi di chi abbiamo davanti (mi sono accorta di non saperli soltanto quando si sono presentati, quindi sei perfettamente riuscita a renderlo emotivamente coinvolgente pur senza dirci chi avremmo dovuto impersonare nella lettura).
    Mi è piaciuto davvero tanto, però adesso voglio sapere come va avanti, come questa improbabile coppia costruirà qualcosa insieme, perché sono assolutamente sicura che costruiranno di certo qualcosa di bello e buono!
    Complimenti, super brava!

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  4. Ciao Anne Louise. Tu ora gentilmente per i prossimi mesi procedi a scrivere il seguito di questa storia, vero? Perché interromperla così, sul più bello... proprio non si fa! Ho letteralmente adorato ogni cosa di questo racconto: il tuo stile, il modo in cui hai inglobato i vari elementi suggeriti, la trama che si dipana man mano fino alla fine del racconto, come i due personaggi sono caratterizzati, insomma, l'unica cosa che non ho apprezzato è che sia già finito!! :) Spero che potremmo leggerne di più nei prossimi appuntamenti. E non vedo l'ora! A presto, Stephi

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  5. Ma come finisce così? Ma non puoi lasciarmi adesso così, io devo sapere. Io voglio sapere. Scriverai altro?
    Hai unito gli elementi in un modo perfetto, ho adorato il mistero, i due personaggi così opposti, i dettagli fantasy che però sono sottili, senza svelare troppo sul mondo e sullo stregone. Lei è un disastro e credo di aver persino sorriso per la sua capacità di mettersi nei guai e lui mi intriga tantissimo, voglio scoprire di più.
    A presto.

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